La prevenzione, questa sconosciuta
La vicenda giudiziaria relativa all’ILVA di Taranto è complessa e va trattata nelle debite sedi penali e civili, da chi ha letto e studiato “le carte”.
Ogni altro commento appare decisamente inopportuno.
Ma al
di là degli aspetti giudiziari, la vicenda è rappresentativa di quella visione
strabica e irrazionale con cui troppo spesso in Italia sono affrontati ancora
oggi i fondamentali temi della protezione ambientale, della sicurezza dei
lavoratori, della salute di tutti, in rapporto al diritto costituzionale di
esercire liberamente l’attività imprenditoriale.
Dagli
anni Settanta - avviatosi un cammino giuridico di consapevolezza, prima
inesistente,
circa la portata giuridica dei fenomeni di inquinamento e degrado ambientale - il mutare della normativa ha indicato un mutamento culturale. Ma, se la normativa ambientale – soprattutto grazie all’impulso del legislatore comunitario – è diventata cogente ed applicabile per tutti, la “nuova” cultura ambientale che ne rappresenta il fondamento si è radicata in nicchie elitarie, non divenendo patrimonio comune dei cittadini italiani.
circa la portata giuridica dei fenomeni di inquinamento e degrado ambientale - il mutare della normativa ha indicato un mutamento culturale. Ma, se la normativa ambientale – soprattutto grazie all’impulso del legislatore comunitario – è diventata cogente ed applicabile per tutti, la “nuova” cultura ambientale che ne rappresenta il fondamento si è radicata in nicchie elitarie, non divenendo patrimonio comune dei cittadini italiani.
Gli
attori in gioco nella vicenda dell’ILVA di Taranto, ad esempio, non sono stati
capaci di introitare quel mutamento culturale.
Con
un diverso approccio, il disastro ambientale su cui oggi si discute, e per cui
la magistratura procede, si poteva prevenire.
I
costi per adeguare gli impianti alle normative ambientali comunitarie dovevano
essere considerati investimenti necessari alla stessa prosperità aziendale, non
– secondo una visione arcaica e miope – spese evitabili.
I
controlli sul complesso produttivo, comunque effettuati, avrebbero dovuto
portare ad un colloquio costruttivo tra l’Azienda e la P.A .. Era possibile richiedere
per tempo proroghe e deroghe, tecnicamente motivate, impostando un realistico
programma che consentisse all’Azienda di
raggiungere la conformità legislativa senza insostenibili tour de force.
E’ oramai acclarato che produttività e tutela
dell’ambiente (ed anche la prevenzione degli infortuni) sono elementi
egualmente essenziali per la sopravvivenza dell’impresa e il suo corretto
posizionamento nel mercato.
Ne
consegue che le scelte aziendali in merito alle tematiche ambientali vanno
effettuate – ed hanno un senso – all’interno di una politica ambientale
predefinita, che comporta non solo la conoscenza della norma ambientale, ma
anche la sua interpretazione, per farne corretta applicazione in rapporto alla
specifica realtà aziendale.
Solo su tali premesse di responsabilizzazione, ogni volta che un Pubblico Ministero contesti all’azienda un’ipotesi di reato ambientale, la risposta non potrà che essere la difesa della propria scelta di comportamento, dimostrandone i presupposti, chiarendone le finalità e sottolineando la bontà della propria interpretazione. Ma ciò, sulla base di un ragionamento giuridico coerente, non per una mera petizione di principio.
Ma quante aziende non sanno
prevenire situazioni in cui, come a Taranto, tutti risultano sconfitti?
Quante ILVA, in sintesi, ci sono
oggi in Italia?
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