La Cina alla conquista dell'America Latina

C'è preoccupazione tra gli ecologisti per il ruolo sempre più da protagonista che la Cina sta prendendo nello sfruttamento dell'America Latina.
Secondo uno studio dello scorso anno di Enrique Dussel Peters, professore presso l'Università Nazionale Autonoma del Messico, il Sud America è stato la regione più interessata dagli ultimi investimenti diretti esteri cinesi, soprattutto per quanto riguarda le materie prime ed effettuati dalle grandi aziende gestite dal governo come Chinalco, China Petrochemical e China National Offshore Oil.


Adesso sembra che l'America Latina sia diventata addirittura un obiettivo più importante dell'Africa nella caccia instancabile di Pechino alle materie prime.
Dopo lo sfruttamento minerario del monte Toromocho in Perù, le coltivazioni intensive di soia nelle savane del Cerrado in Brasile e i pozzi di petrolio nella cintura dell'Orinoco in Venezuela, è di qualche giorno fa la notizia che l'Ecuador prevede di mettere all'asta più di tre milioni di ettari di foresta amazzonica alle compagnie petrolifere cinesi, sfidando la rabbia di molti gruppi indigeni e mostrando ancora una volta il costo ambientale globale dell'incessante ricerca di nuove fonti di energia da parte del governo cinese. 

Secondo l'ONG californiana Amazon Watch, i sette gruppi indigeni che abitano il territorio interessato dalla transazione non hanno prestato il loro consenso ai progetti petroliferi, dato che tali progetti devasterebbero l'ambiente della zona, minacciando il loro modo di vita tradizionale. Il governo dell'Ecuador a sua volta ha accusato i leader indigeni di strumentalizzare le richieste delle loro comunità per raggiungere i loro obiettivi politici, senza pensare allo sviluppo e alla lotta contro la povertà. 
Bisogna ricordare però che nel luglio scorso la Corte Interamericana dei Diritti Umani, con una sentenza, ha vietato lo sfruttamento petrolifero del Sarayaku, un territorio di foresta pluviale tropicale nel sud dell'Ecuador accessibile solo in aereo e in canoa, al fine di preservare il suo ricco patrimonio culturale e la biodiversità. La corte ha anche stabilito che i governi debbano ottenere un "consenso libero, preventivo e informato" da parte dei gruppi indigeni insediati nelle zone interessate prima di approvare le attività petrolifere sulla propria terra. 
Probabilmente le imprese cinesi non sono peggiori di quelle occidentali che operano in quelle regioni, ma certo rappresentano una fonte supplementare di pressione su un continente che sembra già troppo provato dallo sfruttamento intensivo.

Nessun commento:

Posta un commento