Alle origini del Progetto “Etica ed Ecologia in Agricoltura” Wendell Berry

Dopo i post dedicati a Rachel Carson e James Lovelock, ecco l'ultimo  del ciclo "Etica ed Ecologia in Agricoltura",  dedicato a Wendell Berry


Ad impreziosire, infine, la galleria di ritratti delle eccezionali figure che dai loro legami con la terra e con il mondo delle tradizioni di lavoro sviluppatesi in relazione ad essa hanno tratto ispirazione per le loro epistemologie e le loro etiche, non può mancare Wendell Berry.
Studioso di letteratura – era docente di letteratura inglese all’università del Kentucky – poeta, saggista, contadino e, soprattutto, “ecosofo” (richiamato da B. Devall e G. Sessions nel loro panorama sull’“Ecologia profonda”, nell’omonimo libro), Berry è senz’altro una delle voci più limpide dell’ecosofia americana.
Alle origini della sua sintesi tra riflessione ed etica personale della responsabilità ecologica, egli pone il messaggio biblico letto con un taglio opposto alla celebre tesi di Lynn White: là dove questi scorge nella Genesi il mandato per una strategia di dominio e di annichilimento dell’uomo verso il mondo naturale, Berry trova invece la sollecitazione a considerare la “terra” come un dono che Dio fa all’uomo: anche la Terra Promessa. La terra rimane sempre, per l’uomo, nella prospettiva dell’usufrutto: col Deuteronomio (10,14), Berry infatti ripete che “al Signore” “appartengono cieli e cieli dei cieli, la terra e tutto quello che essa contiene”.
Una concezione della realtà/Creazione che si esprime come libertà dalla “volontà di potenza” dell’uomo: Berry, collegando Giobbe, il discorso evangelico sui gigli del campo e gli uccelli dell’aria (Matteo, 6,26) e il “Paradiso Perduto” di Milton (VIII, 96-104) porta alla luce il carattere di gratuità dell’essere del mondo naturale.
Mentre il ruolo degli uomini si limita ad essere quello di “forestieri e avventori” (Levitico, 25,23).
E così sull’istituzione del “sabato”, nel primato dell’amore come lievito dei rapporti sociali. Un amore che, per Berry, nel Cristianesimo si compie a perfezione come agape, come “carità” planetaria, estesa a tutta la Creazione e non solo riservata agli esseri umani.
“La Carità non può essere solo umana proprio come non può essere solo ebrea o samaritana. Quando inizia, in qualsiasi punto ciò avvenga, non può fermarsi finché non arriva a comprendere tutta la Creazione, perché tutte le creature, sono parti di un insieme da cui ciascuna dipende, ed è una contraddizione in termini quella di amare il tuo prossimo e disprezzare la grande eredità da cui l’intero mondo vivente deriva.”  
Una carità che si leghi all’umiltà. Un’umiltà biblica, ancora una volta, o shakesperiana: dove l’uomo, dalla “natura selvaggia”, impari a stare al suo posto, a sentirsi parte del più vasto mondo delle relazioni che legano la Terra e a questa il Cielo:
“Alla ricerca dell’illuminazione, della Terra Promessa o della via di casa, un uomo dovrebbe andare nella natura selvaggia, misurarsi con la Creazione, riconoscere finalmente il suo vero posto in essa, ed essere così salvato sia dall’orgoglio che dalla disperazione. Vedendosi come una piccola parte di un mondo che lui non può comprendere né dominare né possedere in modo definitivo; non può assolutamente pensare a se stesso come a un dio.”
Nel sapiente intreccio tra amore, umiltà, contatto con la natura selvaggia, rispetto della Creazione, stupore per la sua immensa bellezza sta, allora, per Berry, il farmaco per uscire dalla malattia mortale che è arrivata a minacciare l’umanità. Sia nelle dimensioni spirituali che in quelle fisiche. Rifondare l’umanesimo, ricostituire un uomo nuovo integrale, oltre il rozzo antropocentrismo e meccanicismo, significa per Berry impegnarsi per la “salute” dell’umanità.
“E’ sbagliato credere che la salute fisica sia compatibile con la confusione spirituale o il disordine culturale, o con l’inquinamento dell’aria e dell’acqua o l’impoverimento del suolo. Intellettualmente sappiamo che questi legami d’interdipendenza esistono”. “Tentare di curare il solo corpo significa collaborare alla sua distruzione. Guarire è impossibile in solitudine; è l’opposto della solitudine. Convivialità è guarigione. Per essere guariti dobbiamo partecipare con tutte le altre creature alla festa della Creazione”. “Superata la scala dell’umano le nostre opere non ci liberano più – ci rinchiudono. Tagliano l’accesso alla parte selvaggia della Creazione, quella dove è obbligatorio andare per poter rinascere – per acquistare la comprensione, allo stesso tempo umile ed esilarante, dolorosa e piena di gioia, del fatto che siamo parte della Creazione, che siamo una cosa sola con tutte le cose di cui viviamo e che tutto ciò a sua volta vive di noi.”
Il nuovo umanesimo ecosofico di Berry richiede, allora una dimensione progettuale integrale, sintesi di ragione e cuore, di conoscenza, di capacità tecniche, di responsabilità etica.
Oltre la parcellizzazione dei saperi del mondo tecnocratico. Nella ripresa di un nuovo umanesimo ecosofico a ispirazione cristiana, Berry colloca il superamento del mondo della quantità, della parcellizzazione dei saperi, della riduzione dell’uomo a strumento della macchina.
Egli propone la restaurazione del senso del bello, dell’armonia delle responsabilità nel lavoro dell’uomo come valori da affiancare all’amore e al rispetto per la natura.
Una atteggiamento che Berry modula ancora su Milton ma che presenta analogie anche con lo spirito del taoismo: amore per le piccole cose, per le piccole azioni quotidiane.
Un operare che s’inserisce in una solidarietà neofrancescana: che “non comporta l’abuso o maltrattamenti” neanche degli “animali”, che ha presente che anche gli animali non sono “macchina”, “strumenti”, che ricorda che l’agricoltore del Galles “camminava all’indietro davanti ai buoi cantando per loro mentre lavoravano” e che “venivano composte canzoni apposta perché si accordassero al ritmo del lavoro dei buoi […]” .
Insomma Berry invita a portare grazia anche nel momento del lavoro: noi umani, infatti “lavoriamo bene quando usiamo noi stessi come compagni delle piante, degli animali, delle materie prime, e come le altre persone con cui stiamo lavorando. Un simile genere di lavoro unisce e guarisce. Ci fa riavere dalla superbia e dalla disperazione e ci colloca responsabilmente nella condizione umana.” .
La conclusione di queste brevi note?
Frammenti da una poesia di W. Berry posti come “Manifesto” del “Fronte di liberazione del contadino impazzito”:
“Ma tu amico, ogni giorno,
fai qualcosa che non possa entrare nei calcoli.
Ama il Creatore. Ama la terra.
Lavora gratuitamente.
Conta tu quello che hai e sii povero.”
“..e abbraccia gli esseri umani,
nel tuo rapporto con ciascuno di loro
riponi la tua speranza politica.”
“Approva nella natura quello che non capisci
e loda questa ignoranza,
perché ciò che l’uomo non ha razionalizzato
non ha distrutto.
Fai le domande che non hanno risposta.
Investi nel millennio.
Pianta sequoie.
Sostieni che il tuo raccolto principale
è la foresta che non hai piantato
e che non vivrai per raccogliere.
Afferma che le foglie quando si decompongono
diventano fertilità:
chiama questo «profitto»
Una profezia così si avvera sempre.
Poni la tua fiducia
nei cinque centimetri di humus
che si formeranno sotto gli alberi
ogni mille anni.”
“Sorridi,
Il sorriso è incalcolabile.
Sii pieno di gioia, tutto considerato.”

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