Uno studio organizzato su scala continentale da undici diverse istituzioni americane mostra come differenti zone marine resistano in modo diverso all'aumento dell'acidità dell'acqua.
L'acidificazione delle zone costiere può avvenire quando un eccesso di CO2 viene assorbito dagli oceani, dando il via a una catena di reazioni chimiche che abbassano il pH dell'acqua rendendola più acida: questo processo va poi a impattare sugli ecosistemi marini, attaccando ad esempio ostriche, pteropodi e coralli, che in un ambiente troppo acido non riescono a formare le loro strutture calcaree di protezione.
La ricerca, pubblicata su Limnology and Oceanography, ha misurato i livelli di CO2 e di carbonati nell'oceano lungo tutta la zona costiera dell'America orientale, dal Golfo del Messico fino al Golfo del Maine, prendendo campioni da nove punti diversi tra la costa e la scarpata continentale, 480 km al largo.
Ora sappiamo che l'anidride carbonica in eccesso può contaminare le coste oceaniche in molti modi diversi. Il rischio più grande viene naturalmente dalla concentrazione di CO2 nell'atmosfera, che è aumentata in modo vertiginoso negli ultimi 150 anni: più alti sono i suoi livelli, più è assorbita dalle acque per contatto. Un'altra causa molto diffusa, però, è il deflusso dei fertilizzanti dalla terraferma: la pioggia e altri flussi superficiali possono far defluire concimi chimici e altri sottoprodotti delle nostre attività nei sistemi fluviali e nelle acque sotterranee, che a loro volta scaricano nel mare un eccesso di sostanze nutritive che spesso causano un'esplosione di attività biologica; ciò porta a una decrescita dell'ossigeno e ad un aumento della produzione di CO2.
Questo è quello che ad esempio accade regolarmente nel Golfo del Messico, dove il Mississippi scarica grosse quantità di nitrati e altri fertilizzanti che generano larghe fioriture di alghe che a loro volta portano alla produzione di grandi quantità di materia organica. Quando questa materia si decompone, i microbi consumano l'ossigeno dell'acqua e producono anidride carbonica, rendendo l'acqua più acida. Fortunatamente, la conformazione del Golfo del Messico garantisce un veloce ricambio delle acque, ma, se questo succedesse nel Golfo del Maine, il suo ecosistema sarebbe molto più vulnerabile. Il Golfo del Maine infatti è un sistema semi-chiuso, e l'acqua a basso pH e basso contenuto di ossigeno ci metterebbe molto più tempo a disperdersi.
Gli studi che monitorano la chimica delle acque oceaniche sono ancora pochi, ma è evidente che l'aumento di acidità degli oceani è un fatto che riveste una capitale importanza sia dal punto di vista ecologico che dal punto di vista sociologico. Mettere a rischio la vita marina lungo le coste infatti avrebbe implicazioni disastrose per tutte quelle persone che vivono di pesca, acquacoltura e turismo.
L'acidificazione delle zone costiere può avvenire quando un eccesso di CO2 viene assorbito dagli oceani, dando il via a una catena di reazioni chimiche che abbassano il pH dell'acqua rendendola più acida: questo processo va poi a impattare sugli ecosistemi marini, attaccando ad esempio ostriche, pteropodi e coralli, che in un ambiente troppo acido non riescono a formare le loro strutture calcaree di protezione.
La ricerca, pubblicata su Limnology and Oceanography, ha misurato i livelli di CO2 e di carbonati nell'oceano lungo tutta la zona costiera dell'America orientale, dal Golfo del Messico fino al Golfo del Maine, prendendo campioni da nove punti diversi tra la costa e la scarpata continentale, 480 km al largo.
Ora sappiamo che l'anidride carbonica in eccesso può contaminare le coste oceaniche in molti modi diversi. Il rischio più grande viene naturalmente dalla concentrazione di CO2 nell'atmosfera, che è aumentata in modo vertiginoso negli ultimi 150 anni: più alti sono i suoi livelli, più è assorbita dalle acque per contatto. Un'altra causa molto diffusa, però, è il deflusso dei fertilizzanti dalla terraferma: la pioggia e altri flussi superficiali possono far defluire concimi chimici e altri sottoprodotti delle nostre attività nei sistemi fluviali e nelle acque sotterranee, che a loro volta scaricano nel mare un eccesso di sostanze nutritive che spesso causano un'esplosione di attività biologica; ciò porta a una decrescita dell'ossigeno e ad un aumento della produzione di CO2.
Questo è quello che ad esempio accade regolarmente nel Golfo del Messico, dove il Mississippi scarica grosse quantità di nitrati e altri fertilizzanti che generano larghe fioriture di alghe che a loro volta portano alla produzione di grandi quantità di materia organica. Quando questa materia si decompone, i microbi consumano l'ossigeno dell'acqua e producono anidride carbonica, rendendo l'acqua più acida. Fortunatamente, la conformazione del Golfo del Messico garantisce un veloce ricambio delle acque, ma, se questo succedesse nel Golfo del Maine, il suo ecosistema sarebbe molto più vulnerabile. Il Golfo del Maine infatti è un sistema semi-chiuso, e l'acqua a basso pH e basso contenuto di ossigeno ci metterebbe molto più tempo a disperdersi.
Gli studi che monitorano la chimica delle acque oceaniche sono ancora pochi, ma è evidente che l'aumento di acidità degli oceani è un fatto che riveste una capitale importanza sia dal punto di vista ecologico che dal punto di vista sociologico. Mettere a rischio la vita marina lungo le coste infatti avrebbe implicazioni disastrose per tutte quelle persone che vivono di pesca, acquacoltura e turismo.

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