Oggi, il consumo e la produzione di beni e di servizi in Europa sembra essere arrivata a un livello non più sostenibile, e ancora non siamo riusciti a sganciare il peggioramento della pressione ambientale dalle prospettive di crescita economica.
Una nuova relazione dell'Agenzia Europea dell'Ambiente descrive ora i metodi per quantificare l'impatto ambientale causato dai modelli di consumo europei e dai vari settori della produzione economica, e mostra come i dati economici e i dati ambientali possano essere integrati per analizzare l'efficienza di interi sistemi produttivi.
Le analisi presentate nel rapporto danno poi precise indicazioni su come calibrare incentivi economici e campagne di informazione per incoraggiare uno spostamento verso schemi di produzione e consumo più sostenibili.
Fondamentalmente, il rapporto si basa su due metodi di analisi: il primo focalizza sulla produzione, e considera l'impatto diretto sull'ambiente causato dalle industrie europee e dai fornitori di servizi, ad esempio attraverso l'estrazione di risorse minerarie, il rilascio di inquinanti atmosferici da parte delle centrali energetiche e le emissioni di gas serra provenienti dall'agricoltura.
Il secondo si basa invece sul consumo, e si concentra sulla pressione ambientale indiretta causata dai consumatori europei: utilizzando l'Analisi Input-Output Estesa all'Ambiente (Environmentally Extended Input Output Analysis, EE-IOA) è infatti possibile stimare con precisione le pressioni ambientali generate da singoli gruppi di prodotti e dai consumi europei nel loro insieme.
Per adesso, i fattori di pressione ambientale considerati nel rapporto sono quattro: l'uso di materie prime, le emissioni di gas serra, altre emissioni acidificanti e gli inquinanti atmosferici nocivi per l'ozono. Gli strumenti che questo tipo di analisi offre però si possono estendere a molti altri fattori di pressione, come il consumo della terra, il consumo dell'acqua, la produzione dei rifiuti e il consumo energetico.
Grazie alla coerenza concettuale tra questo sistema di contabilità ambientale e la contabilità economica, i dati sulle pressioni ambientali sono così direttamente paragonabili alla spesa economica. La politica può quindi vedere quali settori sono stati i più virtuosi nello "scorporare" i fattori di pressione ambientali dalla crescita produttiva: si può così avere una panoramica dei gruppi di prodotti che sono più impattanti sull'ambiente, come quelli che portano alla maggior parte delle emissioni o quelli che hanno il più alto consumo di materiale per euro di acquisto.
La produzione di energia elettrica, quella siderurgica e quella agricola, ad esempio, causeranno elevate quantità di danno ambientale per euro speso, mentre la maggior parte dei servizi avrà un basso coefficiente di impatto ambientale.
Attraverso l'analisi scomposta, poi, è possibile valutare le riduzioni del'impatto voce per voce, scoprendo ad esempio quanto di queste riduzioni sia dovuto a migliorie nella catena produttiva, come risparmi energetici, sostituzioni del tipo di carburante o innovazioni tecnologiche, e quanto questo sia invece dovuto a cambiamenti economici strutturali, come ad esempio la tipologia di ciò che viene prodotto e consumato.
Fino ad ora, almeno in Europa, la riduzione dei fattori di pressione ambientale è dovuta principalmente ai miglioramenti tecnologici delle singole industrie e all'ottimizzazione dei processi produttivi: quanto dovremo aspettare perché siano invece le politiche economiche a creare un cambiamento nei pattern di consumo?

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